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Arte

Giorgione e Tiziano, due interpretazioni di Venere

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Giorgione, Venere dormiente, 1508-1510. Olio su tela, 108 x 175 cm. Gemäldegalerie Alte Meister, Dresda

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Tiziano, Venere di Urbino, 1538. Olio su tela, 119 x 165 cm. Uffizi, Firenze

 

Il confronto tra due opere di analogo soggetto consente di evidenziare le due “anime” della pittura veneziana, rappresentate da Giorgione e da Tiziano: da un lato il morbido naturalismo e l’assorta malinconia, dall’altro la sensualità. La Venere dormiente è descritta da Marcantonio Michiel, avendola vista nel 1515 nella collezione di Girolamo Marcello, come: “de mano di Zorzo de Castelfranco, ma lo paese et Cupidine forono finiti da Titiano”. Un putto alato (‘Cupidine’), in realtà, è riconoscibile attraverso radiografia sulla parte destra del dipinto.

La critica recente tende ad attribuire a Tiziano una completa ridipintura dell’opera, come attesterebbero i colori accesi del paesaggio all’imbrunire e il deciso panneggio del cuscino e del tessuto su cui è adagiata Venere. Tuttavia, la delicatezza di Giorgione è ancora riconoscibile nella figura di Venere e nella scelta iconografica: contemplata nel sonno, la dea è abbandonata nella natura, ne è spontaneamente parte.
Il soggetto è stato probabilmente realizzato in occasione delle nozze di Girolamo Marcello con Morosina Pisani; esso rivelerebbe anche la volontà del committente di affermare la presunta discendenza della sua famiglia da Marcello, genero di Augusto, e dunque la propria parentela con la Gens Julia, originata da Venere.
La Venere detta di Urbino, invece, è certamente attribuita a Tiziano, che la realizzò nel 1538 per Guidobaldo della Rovere, figlio di Francesca Maria, Duca di Urbino.
Guidobaldo aveva sposato per motivi politici Giulia Varano di Camerino, ancora bambina, e tale circostanza ha fatto supporre che l’opera fosse una sorta di auspicio all’amore coniugale. A questo alluderebbero le rose , il cagnolino accovacciato nel letto, le ancelle presso il cassone nuziale, la pianta di mirto.
Pur derivando dalla Venere di Giorgione, la figura femminile ha perso la sua rarefatta delicatezza, per trasformarsi in un simbolo di concreta e consapevole sensualità