JUSEPE de RIBERA | Apollo e Marsia, 1637. Olio su tela, 182 x 232 cm. Museo di Capodimonte, Napoli
Dietro il realismo violento e immediato di questa scena c’è senza dubbio l’insegnamento di Caravaggio che, però, viene spinto dal pittore spagnolo fino al compiacimento macabro e alla ostentazione trionfante di chiara matrice iberica. Anche la tecnica pittorica cambia rispetto alla lezione caravaggesca. Il nudo di Marsia, ad esempio, non emerge grazie al contrasto di luci e ombre, ma attraverso una materia grassa e una pennellata pastosa che rende i valori “tattici” dell’epidermide, la sostanza rugosa del suo viso raggrinzito dalla smorfia terribile. L’aspro realismo della scena si apre in questo modo a un pittoricismo raffinato e brillante che ha il suo brano più alto nella mantellina svolazzante di Apollo, schiarita da preziosi effetti luce che investono le figure ed il cielo azzurro, striato di nubi rosate, sullo sfondo.
È un momento determinante nella storia di Ribera e della pittura napoletana del Seicento che dalla metà degli anni Trenta si apre alle correnti proto-barocche e alla ventata neoveneta di Van Dyck.
Curiosità:
L’Apollo e Marsia di Ribera venne copiato, circa venti anni dopo, da Luca Giordano in un dipinto accanto al quale è oggi esposto nel Museo di Capodimonte. Giordano riprese in controparte la composizione di Ribera, fin nei minimi dettagli: il volto urlante di Marsia, la disperazione del Satiro e soprattutto il pittoricismo raffinato, anche se tenuto su tonalità più scure.