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Poesia

“L’Infinito” poesia di Giacomo Leopardi recitata da Vittorio Gassman

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« Sempre caro mi fu quest’ermo colle,

e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare. »

L’Infinito (Giacomo Leopardi) voce – Vittorio Gassman

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Il manoscritto originale della lirica conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli

 

L’infinito è una delle liriche più famose dei Canti di Giacomo Leopardi. Il poeta la scrisse negli anni della sua prima giovinezza a Recanati, sua cittadina natale, nelle Marche. Le stesure definitive risalgono agli anni 1818-1819.

La lirica, composta da 15 endecasillabi sciolti, appartiene alla serie di scritti pubblicati nel 1826 con il titolo Idilli”. Oltre all’Infinito, in questa serie sono presenti anche altre note liriche, come Alla luna e La sera del dì di festa. Il termine greco “idillio” (εἰδύλλιον), di solito riferito a componimenti poetici incentrati sulla descrizione di scene agresti, subisce, con Leopardi, una ridefinizione: negli idilli leopardiani sono assenti le tematiche bucoliche proprie dei componimenti scritti dai poeti greci Teocrito, Mosco, Bione, e da poeti bucolici latini (Virgilio, Calpurnio Siculo e Nemesiano), poi imitati in età umanistica e rinascimentale da Jacopo Sannazaro e da Torquato Tasso. L’idillio leopardiano è un componimento connotato da un forte intimismo lirico: in esso l’elemento del paesaggio naturale (spesso privo dei connotati del paesaggio ideale antico) è strettamente legato all’espressione degli stati d’animo dell’uomo. Tale espressione del proprio io, non vuole essere una fuga nell’irrazionale o nel sogno (come accade nella lirica romantica), ma solo una nuova occasione di un’ampia riflessione sul tempo, sulla storia, e sul triste destino degli uomini. Gli idilli leopardiani, inoltre, presentano differenze stilistiche rispetto ad altre composizioni, in particolare colpisce l’abile e sapiente mescolanza di registri linguisticiche spazia da quello letterario (Ermo colle) a quello semplice, piano e colloquiale (Sempre caro). Questo idillio si divide in due parti ben distinte: nella prima il poeta esprime concetti a lui usuali mentre, nella seconda, usa l’immaginazione e si perde nell’infinito.

Il manoscritto originale è conservato presso la biblioteca nazionale di Napoli, insieme ad altre opere del poeta. Un secondo manoscritto, con molti altri autografi, è conservato nel Museo dei manoscritti del comune di Visso in provincia di Macerata. Nel mese di ottobre 2016, in seguito al terremoto che ha colpito la zona, questi manoscritti sono stati provvisoriamente trasferiti a Bologna.

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Giacomo Leopardi, incisione su rame di Gaetano Guadagnini (1830), dal ritratto di Luigi Lolli del 1826 (base per molti ritratti postumi, tra cui l’olio su tela esposto alla Pinacoteca Comunale di Recanati