Tutte le arti contribuiscono all'arte più grande di tutte: quella di vivere (Bertolt Brecht)

Poesia

“La nascita di Venere” – poesia di Rainer Maria Rilke

Alexandre Cabanel, La Nascita di Venere,1863. Musée d'Orsay, Parigi

Alexandre Cabanel, La Nascita di Venere, 1863. Musée d’Orsay, Parigi

 

In quell’alba — trascorsa era la notte
piena d’orgasmi, d’impeti e di grida —
il mare ancóra si sconvolse. Urlò.
E come l’urlo si richiuse lento,
giú dai pallidi cieli mattutini
nel muto abisso celere piombando –
il mare generò.

     Al primo sole, scintillò di ricci,
ribalenò l’immenso equoreo pube.
Candida, in sé rattratta, umida ancóra,
fuor dalle spume una fanciulla emerse.
Come la foglia verde appena messa
freme, si stira e languida si svolge,
cosí per entro la frescura intatta,
nella fievole brezza del mattino,
a poco a poco il corpo suo si schiuse.

     Fulgidi risalirono i ginocchi.
Sfere di luna, parvero: sommersi
nei nebulosi margini dell’anche.
L’ombra arretrò. Scoprí gli agili stinchi.
Si protesero i piedi: e furon luce.
Come nel sorso palpita la gola,
ogni giuntura palpitò. Fu luce.

     Entro il calice alciònio, era quel corpo
come in mano di bimbo un fresco pomo.
E nel piccolo stimma a mezzo il ventre,
accogliersi parea tutta la tenebra
di quella immensa chiarità vivente.

     Sott’essa risalía, fievole e chiaro,
l’arco dei lombi, il flutto; e ricadeva,
ruscellando sommesso, a quando a quando.
Di luce intriso, non ancóra ombrato,
come d’aprile macchia di betulle,
si palesava ignudo il caldo pube.

     Quindi si bilanciò la svelta linea
delle morbide spalle, equilibrata,
su lo stelo del corpo, che, diritto,
vibrò come zampillo. Alto, ricadde,
con lento indugio, nelle braccia lunghe,
precipitando in gonfie onde di chiome.

     Il vólto trapassò, piano, dall’ombra
del suo scorcio reclino, ecco, alla luce.
Eretto fu. Sott’esso, rilevato,
si conchiuse del mento il tondo giro.
Ma poi che il collo dardeggiò, vibrando
come uno stelo fervido di linfe,
anche le braccia s’agitaron tese,
colli di cigni all’erma sponda aneli.

     Ed ecco: all’improvviso, entro la grigia
alba sopita delle membra, corse
la prima brezza: un timido respiro.
Nel piú sottile e rameggiante intrico
delle trepide vene, un sussurrío
flebile si levò: frusciò, sovr’esso,
il primo alàcre scorrere del sangue.
Quindi, la brezza rinforzò. Fu vento.
Con tutto il fiato si gittò per entro
gli acerbi seni. Li gonfiò, compresso.
Candide vele ricolme di spazio,
trassero, quelli, il lieve corpo a riva.

     Ed approdò la Dea.

     Dietro di lei, che per i lidi nuovi,
rapido il passo, procedea, — balzarono
tutto il mattino i fiori e gli alti steli:
ardenti ed ebri, quasi appena dèsti
da una notte di amplessi.

                                               Ed ella andava,
velocemente lontanando in corsa.

     Ma nell’ora piú calda, a mezzo il giorno,
ancóra il mare si sconvolse, urlando.

     Un delfino gittò — dai flutti stessi —
porpora enorme. Esanime, squarciato.

Rainer Maria Rilke

(Traduzione di Vincenzo Errante)