Tutte le arti contribuiscono all'arte più grande di tutte: quella di vivere (Bertolt Brecht)

Arte

“Marie Dihau al piano” di Edgar Degas

Marie Dihau al piano (Mademoiselle Dihau au piano) del pittore francese Edgar Degas, realizzato tra il 1869 e il 1872 e conservato al museo d’Orsay di Parigi.

La donna ritratta, Marie Dihau, era una celebre pianista di Lille che spesso soggiornava a Parigi e si esibiva ai concerti del Colonne e Lamoureux, dove Degas e il padre andavano ad ascoltarla. Verso il 1872 Mademoiselle Dihau si trasferisce a Parigi e presso di lei il pittore Touluose-Lautrec, cugino della pianista, incontra Degas.
Il ritratto che Degas esegue della musicista ha un carattere intimo e pacato. Marie Dihau è colta con le mani appoggiate sulla tastiera del pianoforte: evidentemente stava eseguendo un accordo. La donna, tuttavia, non è affatto concentrata sullo spartito che ha davanti: ella, infatti, ha interrotto per un attimo la sua sessione musicale e sta rivolgendo allo spettatore uno sguardo intenso e penetrante. La perfezione dell’ovale e gli equilibratissimi valori tonali hanno condotto gli studiosi a rafforzare il dipinto alla ritrattistica di Vermeer, pittore olandese del XVII secolo, che Degas senz’altro conosceva. In effetti, nei ritratti di questi anni egli è molto attento a restituire una sensazione che, pur partendo da una connotazione realistica dell’immagine, restituisca quel senso di intima sospensione e religioso raccoglimento che emana dalla ritrattistica antica. I molti ritratti che esegue in questi anni confermano l'”ansia di citazione” propria di un Degas che ancora elabora tante maniere diverse , come acutamente noterà Lafenestre in una recensione del 1879. Il pittore medita molto sulla pittura del Seicento, secolo che spesso intese il ritratto come genere privato, sovente scevro di quelle qualità ieratiche e celebrative proprie della pittura destinata ad avere funzioni commemorative. Soprattutto la pittura olandese, ma anche quella francese (dal XVII secolo di La Tour al XVIII di Chardin), riversò sul ritratto sentimenti oltre che intimi, spesso anche devoti, che il secondo Ottocento recupera in un momento in cui si inizia a cercare un’alternativa che consenta di deviare dalla cieca fiducia che il Positivismo più dogmatico aveva avuto nella scienza.