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Arte

“Giuditta che decapita Oloferne” di Artemisia Gentileschi



Artemisia Gentileschi
Giuditta e Oloferne, 1620 ca., olio su tela, 199 x 162,5 cm. Firenze, Galleria degli Uffizi

L’episodio al quale si riferisce l’opera è narrato nel Libro di Giuditta: l’eroina biblica, assieme ad una sua ancella, si reca nel campo nemico; qui circuisce e poi decapita Oloferne, il feroce generale nemico.
Giuditta e Oloferne di Artemisia Gentileschi è una condanna pittorica nei confronti degli abusi sulle donne da parte dei potenti. L’episodio biblico inoltre diede ad Artemisia la possibilità di raccontare la sua drammatica vicenda personale.

Descrizione dell’opera:
Giuditta, all’interno della camera di Oloferne, decapita il generale assiro aiutata dalla sua ancella. Oloferne, ebbro dopo il banchetto è disteso, nudo, sul letto in attesa di Giuditta che ha acconsentito di giacere con lui. Invece, la donna, afferrata la spada del generale, gli taglia la gola con un colpo netto mentre la sua serva blocca le braccia del soldato. Oloferne è steso sul letto composto da tre materassi sovrapposti e ricoperti da teli. Coprono il corpo nudo dell’uomo un lenzuolo e una coperta rossa dalla superficie lucida. Oloferne giace di traverso, con il capo verso la superficie del piano pittorico mentre Giuditta si trova in piedi, a destra. La donna giudea indossa un abito molto scollato e ha i capelli raccolti con una acconciatura a treccia. Le maniche del vestito sono sollevate oltre i gomiti e sul braccio sinistro spicca un bracciale con pietre verdi.

La donna infierisce sulla gola di Oloferne con una daga fermamente impugnata nella mano destra mentre con la sinistra afferra i capelli dell’uomo. Il soldato apre gli occhi spaventato e non ha il tempo di reagire. Infatti un violento schizzo di sangue si proietta verso Giuditta mentre sul letto colano dei rivoli che arrossano i teli. Sul volto della donna si coglie un’espressione di soddisfazione mista allo sforzo compiuto per tenere fermo il generale. La serva, infine, pare determinata e il suo volto non rivela alcuna emozione. La scena è avvolta dal buio profondo.

La vicenda che vide Giuditta protagonista della salvezza di Israele, secondo i testi sacri, si svolse intorno al 600 a.C. al tempo di Nabucodonosor, re babilonese. Per portare a termine la campagna d’occidente il re affidò il comando a Oloferne. Il generale fu avvisato del fatto che solo un grave peccato contro Dio avrebbe reso vulnerabile il popolo d’Israele, tuttavia, strinse d’assedio Gerusalemme. Dopo 34 giorni i capi di Israele erano intenzionati a cedere. Giuditta, una vedova, retta e pia, si offrì, così, di sedurre Oloferne per, poi, eliminarlo. La donna, durante un banchetto, con la promessa di tradire i peccati del popolo d’Israele e di giacere con il generale, riuscì a sopraffarlo e a decapitarlo.

Artemisia concepì la figura di Giuditta paragonandola ad un vero e proprio carnefice. Infatti le braccia della ragazza sono robuste e muscolose. La giovane esegue la decapitazione afferrando con forza il generale assiro. Anche la sua espressione è fredda e determinata priva di insicurezza o pietà.

Il soggetto, ispirato al racconto dell’Antico Testamento, fu uno tra i più interpretati per via della forza narrativa della vicenda. Noto è il dipinto di Caravaggio esposto presso la Galleria nazionale d’arte antica di Roma. Anche Rembrandt dipinse la sua versione della vicenda.

La figura di Artemisia Gentileschi suscitò un particolare interesse nella critica per via della sua vicenda umana. Fu, infatti, coinvolta in un brutto episodio di violenza da parte di Agostino Tassi, un pittore amico del padre. Soprattutto i dipinti relativi alla vicenda di Giuditta e Oloferne furono oggetto di indagine psicologica. Oltre al tema biblico, che si presta a indagare un meccanismo di rivalsa sulla prepotenza maschile, suscitò interesse la brutalità del gesto rappresentato.