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Édouard Manet – Cristo morto e due angeli

Cristo morto e due angeli (Le Christ mort et les anges) è un dipinto a olio su tela (179×150 cm) del pittore francese Édouard Manet, realizzato nel 1864 e conservato alla Metropolitan Museum of Art di New York.

L’opera, di dimensioni notevoli, fu esposta al Salon del 1864, dove non  mancò di suscitare un putiferio: Manet pareva voler infrangere deliberatamente ogni tabù borghese. Questa volta, più ancora del soggetto in sé, erano l’esecuzione e la scelta cromatica a infuocare gli animi. Al bianco sporco del drappo sul quale è adagiato Cristo fa infatti riscontro il rosa ombrato del corpo, che da molti critici veniva interpretato come mera sporcizia. Il realismo del cadavere appariva come una dichiarata blasfemia, una caricatura del sacro, che non teneva in nessun conto l’aspetto spirituale della morte del Salvatore. L’anno precedente era inoltre stata pubblicata una Vita di Gesù di Ernest Renan, in cui l’autore si proponeva di vedere negli eventi soprannaturali narrati dai Vangeli degli episodi pienamente spiegabili. Non è noto se Manet avesse letto il volume, ma esso aveva naturalmente suscitato molto clamore e il dipinto fu subito messo in relazione con il testo letterario. È anche possibile che la tela fosse una risposta indiretta alle tesi del caposcuola del Realismo, Gustave Courbet, che alla fine del 1861, aveva indirizzato una celebre lettera aperta ad alcuni studenti dell’ École des Beaux-Arts, incitandoli a rappresentare esclusivamente soggetti visibili. Courbet sosteneva che la pittura è un’arte concreta, che deve dunque dedicarsi all’esistente, mentre l’astratto e l’immaginato esulano dal sua dominio. Diversi autori riportano i commenti sarcastici dell’artista di fronte al quadro, di cui criticava soprattutto gli angeli, le loro ali colorate e le sembianze umane. Manet era certamente in disaccordo con il collega, ma è improbabile che sia stata questa l’origine del dipinto. L’artista continuava a professare una fede incrollabile nella pittura dei grandi maestri italiani e spagnoli, che aveva studiato e copiato dal vivo nel corso dei suoi viaggi e il Cristo morto è anche un  omaggio a una libera interpretazione delle opere di Mantegna, Veronese e Tintoretto.

Dettaglio

Di seguito riportiamo un commento di Théophile Thoré-Bürger pubblicato nel 1864 sull’Indépendance belge e incentrato sul Cristo morto e due angeli:

«Manet ha le qualità d’un mago, effetti luminosi, toni fiammanti che imitano Velàzquez e Goya, i suoi prediletti: ad essi ha pensato nel comporre ed eseguire il circo. Nel suo secondo quadro,Angeli al sepolcro di Cristo, ha imitato, col medesimo furore, un altro maestro spagnolo, El Greco, probabilmente a mo’ di sarcasmo contro i compunti innamorati della pittura discreta e linda. Quel Cristo morto, seduto come una persona normale e visto di faccia, le braccia lungo il corpo, è orribile a vedersi: forse sta risuscitando sotto le ali dei due angeli che lo assistono. E quanto strane, quelle ali d’un altro mondo, colorate d’un azzurro più intenso dell’estremo limite del cielo! Gli uccelli della terra non hanno un simile piumaggio, ma può darsi che gli angeli, questi uccelli del cielo, portino tali colori; e il pubblico non ha il diritto di riderne, dal momento che non ha mai visto angeli… Di angeli e di colori, non bisogna discutere. Riconosco, tuttavia, che quel formidabile Cristo e quegli angeli dalle ali blu di Prussia sembrano non curarsi di quanto dice il mondo: “Roba mai vista! Un’aberrazione!”. Era una signora distintissima ad apostrofare in tal modo il povero Cristo di Manet, esposto allo scherno dei farisei parigini. Ciò non toglie che i bianchi del lenzuolo funebre e i toni delle carni siano quanto mai appropriati, e che il modellato del braccio destro, soprattutto, e lo scorcio delle gambe del Cristo richiamino maestri alquanto apprezzati: Rubens nel Cristo morto, e nel Cristo sulla paglia del Museo d’Anversa, e anche Annibale Carracci in taluni Cristi eseguiti nei momenti di libertà e di grandiosità. L’accostamento è singolare. Il Cristo di Manet, nondimeno, somiglia a quelli del Greco, allievo di Tiziano e maestro di Luis Tristan, divenuto, a sua volta, maestro di Velàzquez. Non dirò altro di tali eccentricità, che nascondono un vero pittore, le cui opere, un giorno, saranno forse applaudite. Ricordiamoci gli esordi di Eugène Delacroix, il suo trionfo all’Esposizione universale del 1855, e quel che ha venduto, dopo morto!»
(Théophile Thoré-Bürger)