Tutte le arti contribuiscono all'arte più grande di tutte: quella di vivere (Bertolt Brecht)

Arte

Unico e inconfondibile Claude Monet sulle note di Debussy

Claude Monet

«Sono costretto a continue trasformazioni, perché tutto cresce e rinverdisce. A forza di trasformazioni, io seguo la natura senza poterla afferrare, e poi questo fiume che scende, risale, un giorno verde, poi giallo, oggi pomeriggio asciutto e domani sarà un torrente».
(Claude Monet)

Claude Monet sulle note di “Prélude à l’après-midi d’un faune” di Debussy

Claude Monet, il “pittore impressionista” che dipinge i paesaggi en plein air e di cui tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo visto un quadro (e magari ne conserviamo la riproduzione su magnete, cartolina, segnalibro). Il pittore delle ninfee, dei viali di Parigi pieni di gente, dei meandri della Senna e delle regate nei paesini della Normandia, il pittore della facciata della Cattedrale di Rouen a ogni ora del giorno (e della notte), quello di cui bastano due o tre quadri per decretare il successo di una mostra.

Impressione. Sorgere del sole, 1872, olio su tela. Musée Marmottan, Parigi.

Impressione. Sorgere del sole, 1872, olio su tela. Musée Marmottan, Parigi.

Difficile a credersi ma dietro questi paesaggi “da poster” c’è stata un’anima inquieta, un indomito rivoluzionario. Un uomo che ha patito dolori devastanti (la morte della prima e poi della seconda moglie, quella di due figli) e devastanti rifiuti (fu a lungo povero in canna, quasi nessuno apprezzava le tele per cui oggi siamo disposti a fare chilometriche file nei musei).

Fu pittore ambizioso Claude Monet (1840-1926): diceva che laddove gli altri dipingevano un ponte, una nave, una casa, lui cercava di dipingerne l’aria intorno. «Inseguo l’impossibile», il motto spavaldo.

Claude Monet

Claude Monet

Enfant prodige (incompreso e squattrinato)

Enfant prodige del disegno – da ragazzino vendeva già le caricature dei personaggi del suo quartiere –  Monet era alla perenne ricerca delle novità: gliene importava poco del passato (entrò a malapena al Louvre) e pochissimo dello studio (e da lì i diverbi col padre): cercava un’arte diversa, immediata.

Cercava, fin da ragazzino, il confronto con la natura. A Parigi, ormai allontanatosi dalla casa paterna, è “adottato” da artisti più maturi, tra cui Edouard Manet. Di quanto quest’ultimo abbia fatto per Parigi e per una stagione di artisti più giovani parla la mostra che apre l’8 marzo a Palazzo Reale di Milano (Manet e la Parigi moderna, fino al 2 luglio): saranno esposti tanti capolavori tra cui Il pifferaio, e se serve una dritta per evitare di confondersi tra Manet e Monet, basti sapere che il primo fa quadri con contorni più precisi, predilige colori più scuri, spesso ritrae figure umane, mentre Monet è il pittore della luce, della pittura veloce, indefinita.

Gli anni Settanta dell’Ottocento sono duri per Monet: sì, amici come Renoir lo aiutano, ma ha una moglie, Camille, e un figlio cui badare, tante spese, poca considerazione. Tenta persino il suicidio. «Sono assolutamente disgustato e demoralizzato dall’esistenza che sto conducendo…», scrive al suo medico. Durante la guerra prussiana scappa da Parigi: va in Normandia, poi a Londra e in Olanda (dove vede le stampe giapponesi e se ne innamora: da lì nascono le sue celebri ninfee) poi ancora, grazie all’intercessione di Manet, trova a casa ad Argenteuil, lungo la Senna e dipinge come un forsennato.

Insuccesso di pubblico e pasticci amorosi

Il 15 aprile del 1874 inaugura, nello studio del fotografo Nadar, al secondo piano del 35 di boulevard des Capucines di Parigi la mostra del gruppo Societé anonyme des peintres, sculpteurs et graveurs: oltre a Monet, vari artisti come Cézanne, Renoir, Degas espongono opere in aperta polemica con la pittura dei Salons ufficial, il corrispondente delle nostre fiere d’arte. Monet presenta il suo capolavoro, Impressione, levar del Sole, oggi uno dei quadri più noti al mondo. Un successo? Macché, un disastro e il termine “impressionismo” viene usato per designare pittori inconcludenti e da quattro soldi. Casa Monet pare, in quegli anni, il set di una fiction: Claude conosce il ricco finanziere e collezionista Hoschedé, spera in un aiuto economico, ne diviene amico ma poi si innamora della di lui mogie, Alice. Nel frattempo Camille si ammala e Monet è roso dai sensi di colpa per averla lasciata (sposerà Alice solo alla morte della prima moglie).

Fuga dalla città (e dalla pittura del reale)

Con Alice va a vivere in Normandia e lo studio dei fenomeni atmosferici continua ad essere il suo chiodo fisso. Lo si capisce bene visitando la Fondation Beyeler di Basilea.

Nei lunghi anni di Giverny la sua pittura diventa fatica, fisica e interiore: ore all’aperto, per cogliere quella luce «difficile da seguire», e ore in studio per affinare i soggetti che ormai sono ricorrenti.

Gli ultimi anni li passa in un atelier enorme: Alice e il figlio Jean sono morti, l’altro figlio Michel ha un incidente d’auto, è solo e anziano. Le ninfee, i loro colori nell’acqua, le loro forme prima definite poi sempre più rarefatte sono la sua ossessione. Claude Monet passa dalla pittura della natura a quella dell’animo. Nessuna sua tela è più realistica, dipinge dei lilla, dei gialli e dei blu che vede solo nella sua mente. Compie una rivoluzione silenziosa che solo dopo tanti anni abbiamo capito: senza di lui non ci sarebbe molta dell’arte contemporanea. Lui che diceva di avere solo il merito di dipingere «direttamente di fronte alla natura, cercando di rendere le mie impressioni davanti agli effetti più fuggevoli».

Unico e inconfondibile, Claude Monet.

(Testo di Francesca Amè)

“Lo stagno delle ninfee”, 1904. Olio su tela. Musèe d’Orsay, Parigi.

“Lo stagno delle ninfee”, 1904. Olio su tela. Musèe d’Orsay, Parigi.

“Agapanthus”, 1914-1926

“Agapanthus”, 1914-1926

 

“I papaveri”, 1873, olio su tela. Musèe d’Orsay di Parigi.

“I papaveri”, 1873, olio su tela. Musèe d’Orsay di Parigi.