Tutte le arti contribuiscono all'arte più grande di tutte: quella di vivere (Bertolt Brecht)

Musica

Syd Barrett, il geniale “diamante pazzo” che fece grandi i Pink Floyd

 “Non sono nulla di ciò che pensate io sia”
(Sid Barrett)

 

ll 7 luglio del 2006 Roger Keith Barrett si spense dopo una lenta eclissi durata oltre trent’anni. Fece appena in tempo di lasciare la sua magica visione musicale fondando uno dei gruppi fondamentali del rock: i Pink Floyd

Pink Floyd



“La sua band ha un nome molto originale. Ma chi le ha suggerito il nome Pink Floyd?”. “Gli alieni!”. “Sono una persona piena di polvere e chitarre”, a cominciare da quella Fender Esquire intarsiata di piccoli specchi circolari. Genio e somma sregolatezza, simbolo del b-side del sogno psichedelico inglese dei baby-boomers,un talento immane bruciato nel volgere di appena tre o quattro primavere: il 7 luglio di dieci anni fa ci lasciava Roger Keith Barrett, detto Syd. Era nato a Cambridge il 6 gennaio del 1946; e sempre lì morì, dopo un’eclissi durata oltre trent’anni. Il tempo di fondare una delle rockband più influenti di sempre, i Pink Floyd (dal nome degli amati bluesmen Pink Anderson e Floyd Council…. o su input extraterrestre) e di imprimere il suo segno creativo e svagato nell’inconscio collettivo di più generazioni di musicisti. Dei Floyd, Syd è stato l’anima e il frontman incontrastato dal 1965 alla fine del 1967: solo dopo sarebbe decollato il biconsolato Roger Waters/David Gilmour. Li ha presi per mano e condotti verso territori interstellari, in direzione di un beat imprevedibile e infarcito di invenzioni chitarristiche, magari usando un accendino al posto del plettro. Poi, si sa, i troppi acidi assunti hanno concorso a macerargli il cervello: Barrett è uscito da se stesso, e già non era più lui quando la band si è vista costretta ad allontanarlo, continuando però a evocarlo per tutti i dischi degli anni settanta, quelli del poderoso successo commerciale.

The Dark Side Of The Moon (a chi è consacrato un brano come Brain Damage?), Wish You Were Here (che comprende Shine On You Crazy Diamond, sempre dedicata a luie anche The Wall (ha raccontato Waters che la scena nel film omonimo in cui Bob Geldof siede davanti al televisore mentre una sigaretta gli si spegne tra le dita, era ispirata a un fatto reale avvenuto a Syd). Fuori dal mondo e irreversibilmente altrove: eppure i due album solisti di Syd Barrett, usciti entrambi nel 1970, The Madcap Laughs e Barrett, sono considerati (a ragione) dei gioielli universali di cantautorato obliquo, improvvisato, stralunato e fai-da-te, facendo affiorare in superficie immagini libere, filastrocche e nonsense, visioni sottili e allucinazioni gentili, favole senza finale, stranite fantasmagorie acustiche a bassissima fedeltà, low-fi, si sarebbe detto una ventina d’anni più tardi sulla scorta dei Pavement. Pezzi di musica desolata e sublime, non priva di inserti ironici; vuoti che si rincorrono fino a sovrastare i pieni; emulsioni di sensazioni ridotte alla loro insostenibile essenza. Un dolore pacato, crepitante e luminescente, si sarebbe capito presto, senza scampo. Una Mostra di “quadri non completati”. Bozzetti di canzoni da caminetto d’estate, cariche di blues e proto-grunge unplugged. Dopodiché il silenzio e l’ombra, lacerati dalla comparsa di qualche crudele scatto fotografico che lo immortalava grasso, contorto, caricaturale, lontano anni luce da quel bel ragazzo magro e coi capelli arruffati, un po’ matto ok, ma talentuoso e sensibile che era.

Riavvolgendo il nastro al contrario (come fece lui per dar vita a Dominoes, terza traccia di Barrett). Già nei primi anni sessanta la stella di Syd brilla potente a Cambridge. C’è chi lo soprannomina Syd The Beat. Lui scrive lettere a go-go, gioca con le parole e la giovinezza e comincia a suonare la chitarra. Non passa certo inosservato. Scopre l’Lsd, che ha invaso la sua città come zucchero. Si trasferisce nella Swinging London e si iscrive all’Art School. Condivide sogni a occhi aperti col suo amico Roger Waters. Salta da una relazione all’altra. Nel ‘66 i Pink Floyd sono già sulla bocca di tutti grazie agli spettacolari concerti del sabato sera all’Ufo Club. I primi due singoli Arnold Layne e See Emily Play anticipano l’uscita nel ’67, in piena Summer of love, del loro album d’esordio The Piper At The Gates Of Dawn (che include Interstellar Overdrive e Astronomy Domine). Pubblico e critica applaudono. Barrett inizia però a manifestare le sue prime e inequivocabili stranezze. No, l’anticonformismo stavolta non c’entra. Il suo sguardo sembra vagare nel vuoto; i suoi sorrisi sanno di assenza; si presenta in pigiama in tv e non emette quasi verbo in trasmissioni seguitissime come il Pat Boone Show; smette di suonare e cantare nel bel mezzo di un concerto; scompare e riappare.

Nel Natale del ’67 Waters chiede a David Gilmour, amico di vecchia data di Syd, di unirsi al gruppo come chitarrista di supporto: di fatto, diventa la chitarra solista, mentre a Syd viene assegnato il ruolo di voce e musicista di complemento. Sono  previsti nuovi concerti dei Pink Floyd all’alba del ‘68. Nei primi quattro Barrett partecipa regolarmente, anzi, sembra essersi ripreso; ma per il quinto live del 27 gennaio, il resto della band dimentica, intenzionalmente, di andarlo a prendere… Suonano escludendo l’uomo senza di cui la loro avventura non avrebbe mai avuto inizio, e così sarà per il resto dei loro giorni artistici. Syd è diventato una bomba sempre innescata, ingestibile per un complesso che pensa in grande. L’ipotesi di tenerlo solo per il lavoro di studio mostra subito la corda. Meglio un taglio netto. La separazione ufficiale ha una data: 6 aprile 1968. Un anno horribilis per lui. Sbalzato dalla sua astronave musicale, perde l’orientamento. Trascorre un sacco di tempo disteso a terra su un materasso. Ingolla droghe di ogni tipo. Colleziona scene madri della sua follia in divenire.

Lo inghiotte la malattia mentale. Un mistero irrisolto ancora oggi. Di cosa ha sofferto veramente Syd Barrett? Di schizofrenia, sindrome di Asperger (una forma di autismo), disturbo bipolare o di un’epilessia acutizzata dalle droghe e dalla fobia del palcoscenico? E in quale misura hanno inciso gli acidi (che di certo ha ingerito in quantità industriali) sul suo implacabile declino psicofisico?

Tornando ai suoi due album-testamento. Rompe il ghiaccio The Madcap Laughs:ci suonano dentro David Gilmour e Roger Waters, oltre che i Soft Machine di Robert Wyatt come session men. La registrazione è faticosa, dura parecchio, e con quei fulminei cambi di ritmo e armonia che Barrett conferisce alle canzoni sembra precorrere il punk. “L’unica altra persona che poteva spezzare il tempo – ignorando il numero di battute in favore dei test i- era John Lennon. Alcune parti del suo cervello erano ancora brillanti” ha affermato Gilmour, che produrrà il secondo e ultimo Lp in solitaria di Syd, intitolato Barrett. Gli squarci di genio pulsavano ancora. Come certi slanci beffardi.

Finale di partita. L’illusione dura poco. Lo disintegra anche l’impiego sconsiderato e arbitrario che fa di uno psicofarmaco molto in voga al tempo, il Mandrax: una vera droga legalizzata. Nel ‘70 tiene un concerto alla sala da ballo London Olympia: abbandona il palco dopo tre o quattro canzoni. A chi gli domanda se ha intenzione di tornare a incidere un nuovo disco, replica in questi termini: “Ho solo 24 anni: sono ancora giovane, ho tempo”. Nel ’72 si esibisce con una band, gli Stars, che si scioglie a breve dopo un pugno di concerti disordinati in Inghilterra. L’anno precedente (1971) aveva rilasciato la sua ultima intervista a Mick Rock per Rolling Stone: “Si pensa che tutti si divertano quando sono giovani: non so perché, ma io non l’ho mai fatto”. Segue la lunga dissolvenza catatonica barrettiana. Si dedica al giardinaggio, coltiva l’antica passione per la pittura. Girano leggende metropolitane consolatorie sul suo conto: ma è tutto falso. Diventa irriconoscibile e invisibile. Dopo qualche anno consumato in un hotel di Londra a ingrassare davanti alla tv, si rintana a Cambridge, insieme a sua madre. È il suo canto del cigno: agli occhi del mondo ma non della storia del rock Syd Barrett, il fu viaggiatore interstellare, muore in quei giorni.

Eredità artistica. In tanti hanno rivendicato di vedere in Syd un modello musicale. Ricordiamo David Bowie soprattutto, e poi Brian EnoJimmy Page, Paul McCartney, Marc Bolani Tangerine DreamRobyn Hitchcock. E anche formazioni oggi amatissime come i Tame Impala e i Flaming Lips, gli devono molto.

Libri e film su di lui. C’è solo l’imbarazzo della scelta. Tra i video citiamo Syd Barrett: Crazy Diamond programmato dalla BBC nel novembre del 2001, Pink Floyd & Syd Barrett Story del 2014 ed è in fase di postproduzione il documentario Have You Got It Yet, diretto dal regista nippo-americano Roddy Bogawa, con materiale inedito e nuove interviste ai membri superstiti della band. Tra i libri: All The Madmen, Il lato oscuro del rock britannico di Clinton Heylin, noto critico musicale inglese (dove vengono adombrati interrogativi sulla buona fede dei Floyd nella gestione dell’affaireBarrett); Syd Barrett, un pensiero irregolare di Rob Chapman; Wish You Were Here – Syd Barrett e i Pink Floyd, una graphic novel disegnata da Luca Lenci e scritta da Danilo Deninotti per le Edizioni BD.

Celebrazioni. Al Corn Exchange di Cambridge (il posto in cui tenne i suoi ultimi concerti nel 1972) il 27 ottobre ci sarà una serata-evento che culminerà  nel live Syd Barrett – A Celebration degli svedesi Men On The Border, che suoneranno le canzoni di Barrett e dei Pink Floyd con l’accompagnamento della Sandviken Symphony Orchestra. Le luci del concerto saranno governate da Peter Wynne Willson, che ha lavorato con i Floyd tra il ’66 e il ‘68. Felice la sorella di Syd, Rosemary Breen: “Syd amava Cambridge, per lui ha sempre significato casa. Sarebbe molto sorpreso e felice di essere ricordato in questo modo”.

Shine on you crazy diamond. “Ricordi quando eri giovane/splendevi quanto il sole/Continua a brillare pazzo diamante/ora c’è uno sguardo nei tuoi occhi/come dei buchi neri nel cielo”. Nel 1975 i Pink Floyd pubblicano l’album Wish You Were Here.Un giorno di giugno, mentre sono in studio a registrare Shine On You Crazy Diamond, la grande e struggente canzone incentrata proprio sulla parabola maledetta di Barrett, si presenta un individuo stravagante, con una busta della spesa in mano, obeso, calvo, privo persino delle sopracciglia. Destino, karma, telepatia? Ci mettono un bel po’ a capire chi fosse. “Ma questo è Syd!”: l’agnizione spetta a David Gilmour. Barrett ascolta il brano a lui dedicato e nel mentre si trastulla con uno spazzolino da denti. Pare essersi trasformato nel protagonista di un suo brano, Vegetable Man. Tutt’a un tratto sparisce con la stessa carica di mistero con cui era riapparso. I “Nuovi Floyd” scoppiano a piangere. È l’ultima volta che lo vedono: non si cercheranno mai più. Addio diamante pazzo, con quegli occhi come buchi neri nel cielo. “Ho qualcosa che non va nella testa. E, comunque, non sono nulla di ciò che pensate io sia”.

 

 

 

Da: Repubblica.it