Tutte le arti contribuiscono all'arte più grande di tutte: quella di vivere (Bertolt Brecht)

Musica

Sinfonia n. 7 in la maggiore, op. 92 di Luwdig Van Beethoven

Ludwig van Beethoven

Ludwig van Beethoven

Ludwig van Beethoven

(…) Non si può certo dire che nel secondo movimento non ci sia un 
      tema dominante: questo famoso Allegretto , con il suo 
      passo scandito sottovoce, il suo tono sommesso ma risentito, fa
      parte dell’immaginario del pubblico sin dall’8 Dicembre 1813 
      ed è un volto ed ha una voce che ha il suo posto nel cuore di
      ciascuno di noi. Ma anche quando esplora fino in fondo i temi
      di una macerata elegia, non consente lacerazioni troppo 
      patetiche, perché è tutto definito da un ritmo che lo sospinge
      con mano ferma, persistente anche nei due idilliaci intermezzi
      in tonalità maggiore. L’ Allegretto non è mai una marcia 
      funebre, la sinfonia non ha movimento lento, anche se queste
      affermazioni non sono da dare e da prendere in modo 
      perentorio, essendo una punta di ambiguità espressiva una 
      delle ragioni della grandezza di questa pagina.
      Tutto il brano è incorniciato da uno stesso accordo di La 
      minore che lo apre e lo chiude, una soluzione unica nell’opera
      beethoveniana: accordo dei legni in coppie più due corni,
      armonie di quarta e sesta, cioè stabile ma non perfetta, da cui
      deriva un senso di sospensione, un’inclinazione luminosa di
      neoclassica malinconia. Quando si spegne il suono dei fiati, il
      tema principale si fa avanti con il suo ritmo caratteristico di
      dattili e spondei, scandito la prima volta nell’oscura sonorità
      di viole, violoncelli e contrabbassi; periodo regolare di sedici
      battute esposto quattro volte in variazioni di organico
      strumentale: alla seconda formulazione ( b 27 ), mentre si
      aggiungono i secondi violini, nel registro centrale viole e 
      violoncelli sovrappongono al tema principale un nuovo tema
      che lo completa – con tono più partecipe  e dolente – e un 
      profilo cromatico che nei suoi giri e rigiri riempie tutti gli
      spazi come un liquido negli stampi. Così – ripetendosi – il tema
      si allarga a tutta l’orchestra spargendo il suo mare d’eloquenza
      sempre sulla scansione del ritmo fondamentale che è quello
      dell’andare, prediletto dai viandanti di Shubert : si va a piedi,
      non si vola nel primo movimento, ma si avanza fino ad un punto
      di riposo.
      Le varie esposizioni del tema, di fonicità crescente fino al 
      Fortissimo per poi rientrare  al Piano , fanno pensare ad una
      fonte sonora che si avvicina fino ad invadere la scena per poi
      allontanarsi. Deposto il bordone, si tira il fiato nell’intermezzo,
      come un trio in La maggiore: sotto sotto, violoncelli e
      contrabbassi in pizzicato continuano a snocciolare dattili e
      spondei del ritmo fondamentale, ma di nuovo c’è il disegno a
      terzine dei violini primi, un ritmo che porta sempre con sé un 
      che di fiducioso e rasserenante.  La piana melodia di violini,
      clarinetti e fagotti ricorda molto da vicino quella che circola
       nel terzetto N.13 del Fidelius : sgorga con la stessa purezza
       e virtù di balsamo con cui si effonde nella nera prigione di
       Florestan, e anche qui, dopo la mesta elegia della prima
       parte, riscalda il cuore con la sua dolcezza, resa più trepida
       dall’insistere ai bassi dell’inflessibile ritmo. (…)

      -Giorgio Pestelli da: Il Genio di Beethoven