Tutte le arti contribuiscono all'arte più grande di tutte: quella di vivere (Bertolt Brecht)

Arte

René Magritte, L’uso della parola I (1928-1929)

René Magritte, L’uso della parola I (1928-1929)

“Il pensiero è invisibile, come il piacere o il dolore. Ma la pittura fa intervenire una difficoltà: c’è il pensiero che vede e che può essere descritto visibilmente. Las Meninas sono l’immagine visibile del pensiero invisibile Velázquez. L’invisibile sarebbe dunque talvolta visibile? Si, a condizione che il pensiero sia costituito esclusivamente da figure visibili”.

Queste considerazioni, che Magritte scrisse al filosofo Michel Foucault, autore del saggio Le parole e le cose, sono la premessa ai molti quadri in cui egli evidenzia che la pittura non ha a che fare con la realtà, ma con il pensiero; ed è per questo che essa può presentarci immagini che contraddicono le nostre aspettative percettive.

 

ReneMagritteCeciNEstPasUnePipeOuLaTrahisonDesImages1929

René Magritte, L’uso della parola I, 1928-1929. Olio su tela, 54,5×72,5 cm. New York, Collezione privata



Nella serie di quadri in cui si legge Ceci n’est pas une pipe, il primo dei quali è stato intitolato L’uso della parola I (1928-1929), l’artista belga dipinge in modo volutamente semplificato e simile a quello delle illustrazioni infantili, perché ciò che vuole spiegarci è complesso.

Come negli abbecedari, all’immagine di un oggetto viene accostata una scritta in caratterri corsivi , redatti da una mano diligente.

Il disguido, però, appare subito a chi comprenda il francese: il testo dice, appunto, ‘questa non è una pipa’. Dopo un primo stupore, pare evidente che ‘quella’ non è una pipa, ma solo una rappresentazione bidimensionale dell’oggetto. Alla stessa stregua, in altri quadri dell’artista si rappresentano uomini che volano o scarpe che diventano piedi.

L’opera prende di mira una delle convenzione stetiche più antiche, quella secondo cui il pregio di un’opera d’arte satrebbe nel rappresentare nel modo più illusionistico possibile la realtà.

Magritte avverte lo spettator che ciò che è rappresentato è , appunto, solo rappresentato, come sono rappresentazioni una parola o un pensiero, l’arte non copia la natura, né tantomeno la ricrea. essa è un linguaggio convenzionale esattamente come la scrittura. Ciò che l’artista ci mostra è, dunque, un ragionamento e non la copia del reale né la realtà medesima. Non è nemmeno un’emozione, a meno che non si voglia intendere come emozione lo straniamento del pensiero di fronte alla negazione di qualcosa che si dava per scontato.