Tutte le arti contribuiscono all'arte più grande di tutte: quella di vivere (Bertolt Brecht)

Arte e Cultura

Il desiderio di Bellezza dell’anima

Antonio Canova, Amore Psiche stanti (1796-1800), dettaglio. Ermitage

La bellezza è una qualità che diventa sensibile alla prima impressione; l’anima l’apprende e, riconosciutala, l’accoglie e in un certo modo le si accorda. Ma quando è impressionata da qualche cosa brutta, si agita, la rifugge e la respinge da sé come cosa discordante ed estranea.

Plotino, Enneadi, Rizzoli, I 6, 2, in Breviario di Plotino, Rusconi, 1997, pag. 60

Antonio Canova, Amore Psiche stanti (1796-1800), dettaglio. Ermitage

Antonio Canova, Amore Psiche stanti (1796-1800), dettaglio. Ermitage


 

Se l’anima, come dice Plotino, «è sempre un’ Afrodite», allora essa ha sempre a che fare con la bellezza, e le nostre risposte estetiche sono la prova dell’attiva partecipazione dell’anima al mondo. Il nostro senso del bello e del brutto ci porta fuori, nella polis, attivandoci politicamente. Il solo fatto di accorgerci di quello che ci sta intorno, e di rispondervi con un moto di istintivo disgusto o di desideroso trasporto, fa sì che veniamo coinvolti.

La nostra psiche personale è sintonizzata con il presentarsi dell’ anima del mondo. La risposta estetica è immediata, istintiva, animale, e precede nel tempo e nell’ontologia i gusti che rendono elaborata la risposta e i giudizi che la giustificano.
Ogni repressione di quella risposta non soltanto è deleteria per la nostra natura animale, ma è anche una ferita istintuale nociva al nostro benessere, come è nociva la repressione di qualunque altro istinto. Ma la risposta estetica negata, questo ignorare l’impulso estetico della psiche, è anche un arrogante insulto alla presenza del mondo.

Passeggiare accanto a un edificio maldisegnato, vedersi servire del cibo preparato in modo sciatto e accettarlo, mettere sul proprio corpo una giacca tagliata e cucita male, per non parlare del non sentire gli uccelli, del non accorgersi del crepuscolo… tutto questo significa ignorare il mondo. Eppure, questo stato di ignoranza, questa an-estesia, è in larga misura la condizione umana attuale. Ed è sostenuta e favorita dalla nostra economia, dal nostro modo d’impiegare il tempo libero, dall’uso che facciamo della refrigerazione, dai nostri mezzi di comunicazione e di trasporto e, naturalmente, dai nostri modi di curarci.

Dal momento che questa anestesia, questo “ottundimento psichico” – come la chiama Robert J. Lifton, che ha studiato a fondo le catastrofi collettive – è così diffusa ai giorni nostri, ho il sospetto che favorisca la passività politica del cittadino euro-americano, e quindi aiuti i poteri dominanti a proseguire, senza impedimenti, sulla loro rotta rovinosa.

Se noi cittadini non facciamo caso all’assalto del brutto, restiamo psichicamente ottusi, ma siamo ancora affidabilmente funzionali come lavoratori e come consumatori. Possiamo ancora affrettarci a lavorare, a comprare, a tornare a casa alla TV, quotidianamente, diligentemente, faticando come bestie – come cavalli da tiro con i paraocchi – nella convinzione errata che le nostre sofferenze personali abbiano la loro esclusiva origine nelle nostre relazioni personali.

E le psicoterapie colludono con queste convinzioni errate, insistendo che la depressione e l’aggressività che proviamo derivano dai rapporti umani del passato e non dalle inumane violenze che il nostro istinto estetico riceve nel presente.

La terapia fallisce il suo scopo quando perde di vista l’importanza quotidiana che Afrodite riveste per l’anima.

Non riconoscendo la realtà dell‘anima mundi e il riflesso che ha sulla nostra anima personale, prendiamo ogni sofferenza su di noi –mea culpa– e restiamo inconsapevoli della sofferenza dell’ anima del mondo, di come siano torturate le sue strutture, di come essa sia esiliata in una nichilistica natura selvaggia, e di come aneli a tornare a una cosmologia che dia il primo posto alla sua bellezza.

Tutti noi sappiamo come impegnarci nell’azione politica: partecipare a campagne, a marce, protestare, resistere. Sappiamo il coraggio che l’azione richiede e il rischio che comporta, ma non sappiamo di avere anche altri mezzi di azione, mezzi che richiedono anch’essi coraggio: il coraggio del cuore di battersi per le sue percezioni. E se non ci battiamo, se non ci esprimiamo in favore del nostro senso estetico, quel velo funebre che è la conformità ottundente finirà per togliere ogni forza al nostro linguaggio, al nostro cibo, ai luoghi dove lavoriamo, alle strade delle nostre città.

Piccoli atti di protesta e di apprezzamento aprono delle brecce nella condizione di ottundimento.

Ciascuno di noi può essere un eroe del cuore, perché questo tipo di risposta personale, per quanto semplice possa sembrare, va ancora più in profondità delle consuete proteste sui generi, sul razzismo, sull’ ambientalismo. Qui non ci sono “ismi”, non c’è ideologia: siamo al servizio dell’inestinguibile desiderio di bellezza che ha l’anima. Non dobbiamo dimenticare che, nel racconto di Apuleio, Psiche era immaginata come il personaggio più bello di tutto il mito classico.
Sono fermamente convinto che se i cittadini si rendessero conto della loro fame di bellezza, ci sarebbe ribellione per le strade. Non è stata forse l’estetica, ad abbattere il Muro di Berlino e ad aprire la Cina?

Non il consumismo e i gadget dell’Occidente, come ci viene raccontato, ma la musica, il colore, la moda, le scarpe, le stoffe, i film, il ballo, le parole delle canzoni, la forma delle automobili. La risposta estetica conduce all’azione politica, diventa azione politica, è azione politica.

[James Hillman, Politica della bellezza, Moretti e Vitali, 1999]