Franz Schubert – Sonata per pianoforte in la maggiore, D. 959, II mov. (Andantino)
Sotto questa superficie apparentemente serena si nasconde l’abisso. L’Andantino, in fa diesis minore, è una delle pagine più sconvolgenti dell’intera produzione schubertiana. L’inizio è spoglio e dolente, su un ritmo di barcarola; ma nella sezione centrale, a poco a poco, si scatena una spaventosa tempesta, immagine di una disperatissima, quasi «hoffmaniana» follia, la cui scrittura pianistica anticipa per molti versi quella di Liszt e dei suoi epigoni. Delizioso, infine, il ritorno del motivo principale contrappuntato da un singhiozzo a note ribattute.
Sull’ondeggiante accompagnamento della mano sinistra la destra canta una delle ultime meravigliose e purissime melodie create da Schubert, desolata ma dolce, infinitamente malinconica ma immersa in una luce di serenità ultraterrena. Il suo tono assorto, quasi ipnotico, è interrotto da un episodio centrale drammatico, dai cui accidentati scontri armonici nasce un’inquietante e allucinata agitazione senza vie d’uscita, come il volo di un uccello impazzito che sbatte contro le pareti d’una stanza.