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Arte

Il “Martirio di sant’Orsola” di Caravaggio

Il Martirio di sant’Orsola è un dipinto a olio su tela (140,5 × 170,5 cm) eseguito nel 1610 da Caravaggio e conservato presso la galleria di Palazzo Zevallos a Napoli.

L’opera è di fatto l’ultima pittura del Merisi, essendo stata realizzata poco prima della sua morte.

“Martirio di sant’Orsola” di Caravaggio

Commissionato dal banchiere genovese Marcantonio Doria (la cui famiglia aveva per protettrice proprio Sant’Orsola), il dipinto fu eseguito dal Caravaggio con molta rapidità, probabilmente perché questi era in procinto di partire per Porto Ercole, ove avrebbe dovuto compiere le formalità per essere graziato dal bando capitale. È ben noto che durante quel viaggio il pittore trovò la morte. La fretta fu tale che la tela non era perfettamente asciutta alla consegna: per accelerare l’asciugamento degli incauti servi la esposero al sole.

Il dipinto fu per la prima volta attribuito a Caravaggio dal professor Ferdinando Bologna, che ebbe occasione di osservarlo nella tenuta dei baroni Romano-Avezzano ad Eboli, già appartenuta alla famiglia Doria, principi d’Angri e duchi di Eboli. Successivamente i baroni portarono con sé il dipinto, di cui si era compreso il valore, a Napoli, ove è attualmente esposto al Palazzo Zevallos in via Toledo.

L’attribuzione è stata definitivamente accertata con il ritrovamento, nell’archivio Doria D’Angri, di una lettera scritta a Napoli il 1º maggio 1610 da Lanfranco Massa, cittadino genovese e procuratore nella capitale partenopea della famiglia Doria, e diretta a Genova per Marcantonio Doria, figlio del Doge Agostino: “Pensavo di mandarle il quadro di Sant’ Orzola questa settimana però per assicurarmi di mandarlo ben asciuttato, lo posi al sole, che più presto ha fatto revenir la vernice che asciugatole per darcela il Caravaggio assai grossa: voglio di nuovo esser da detto Caravaggio per pigliar suo parere come si ha da fare perché non si guasti“. Questa lettera, oltre a raccontare l’episodio del sole, ha sancito definitivamente la paternità caravaggesca dell’opera.

Come sua consuetudine, il Caravaggio si discosta dall’iconografia tradizionale di Sant’Orsola, generalmente ritratta coi soli simboli del martirio e in compagnia di una o più vergini sue compagne; sceglie invece di raffigurare il momento stesso in cui la santa, avendo rifiutato di concedersi al tiranno Attila, viene da lui trafitta con una freccia, caricando la scena di un tono squisitamente drammatico. Il dipinto è ambientato nella tenda di Attila, appena discernibile grazie al drappeggio sullo sfondo, che funge quasi da quinta teatrale. L’intero ambiente, come consuetudine nei dipinti caravaggeschi, è permeato da un complesso gioco di luci e ombre, che tuttavia in quest’ultimo dipinto dell’artista sembra dar vantaggio più alle seconde che le prime: è uno specchio del travagliato periodo che l’autore stava vivendo nella parte finale della sua vita.

 

Il primo personaggio a sinistra è lo stesso Attila, raffigurato con abiti secenteschi; il barbaro ha appena scagliato la freccia e sembra essersi già pentito del suo gesto: sembra quasi allentare la presa sull’arco e il suo volto è contratto in una smorfia di dolore, quasi a dire “che cosa ho fatto?”. A poca distanza da lui c’è Sant’Orsola, trafitta dalla freccia appena visibile sul suo seno: ella sta piegando la testa in quella direzione e con le mani sta spingendo indietro il petto come per meglio vedere lo strumento del suo martirio. Non sembra provare dolore, piuttosto una disinteressata rassegnazione, ma il suo volto e le mani bianchissime rispetto a quelli degli altri personaggi preludono alla sua immediata morte. Infatti tre barbari, anch’essi in abiti moderni (uno indossa addirittura un’armatura di ferro), stanno accorrendo a sorreggere Sant’Orsola, ed essi stessi sembrano increduli di fronte al gesto repentino e impulsivo del loro capo. Nelle fattezze di quello di loro che si trova alle immediate spalle della santa, Caravaggio ha raffigurato se stesso con la bocca dischiusa e l’espressione dolorante: egli sembra ricevere la trafittura insieme a lei.

In seguito ad un recente restauro (2005) è venuto fuori un pentimento: è riapparsa una mano che si frappone tra la Santa ed il carnefice, quasi come a volersi opporre all’esecuzione; non sappiamo se fu ricoperta da Caravaggio stesso, o da interventi successivi.