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Poesia

Primo Levi: “Se questo è un uomo”. Per non dimenticare: 27 gennaio, Giornata della Memoria

Bambini sopravvissuti ad Auschwitz

Bambini sopravvissuti ad Auschwitz

Primo Levi, dai versi della poesia  ‘Shemà’ (ovvero ‘Ascolta’) che apre il romanzo “Se questo è un uomo”.

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi alzandovi;
ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi”.

[Primo Levi]

Campo di concentramento di Auschwitz – Birkenau


La poesia Shemà di Primo Levi è un breve testo in versi liberi che apre Se questo è un uomo (pubblicato per la prima volta dall’editore De Silva nel 1947), opera in cui viene descritto l’internamento e la prigionia nel campo di Monowitz e di Auschwitz dal febbraio 1944 al gennaio 1945. Il testo compare poi nella raccolta di poesia Ad ora incerta, edita nel 1984.

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Shemà è una parola ebraica (שמע) che significa “ascolta”; essa compare nell’espressione Shemà Israel (שמע ישראל, “Ascolta, Israele”) in una fondamentale preghiera della liturgia, recitata durante le orazioni del mattino e della sera. Levi utilizza questa espressione in apertura del suo romanzo per rivolgere un forte appello al suo lettore, affinché egli presti attenzione a ciò che sta per leggere e fissi nella memoria la testimonianza agghiacciante della Shoah.
La poesia riporta la data del 10 gennaio 1946, poco più di un anno dopo la liberazione del campo di sterminio di Auschwitz del 27 gennaio 1945.

Primo Levi scriveva anche:
“L’Olocausto è una pagina del libro dell’Umanità da cui non dovremo mai togliere il segnalibro della memoria”.