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Arte e Cultura

Le sette meraviglie del mondo antico

Le meraviglie del mondo antico

LE SETTE MERAVIGLIE DEL MONDO ANTICO
Di Eleonora Modaffari

Le sette meraviglie del mondo antico sono le opere più straordinarie e mozzafiato del mondo antico, riportate con orgoglio nelle fonti letterarie di tutte le grandi civiltà. La lista ufficiale ad opera di Filone di Bisanzio risale al III secolo a.C. e comprende opere costruite più di 2.000 anni fa ma visibili contemporaneamente solo tra il 250 a.C. e il 226 a.C., in anni successivi andarono tutte perdute…tranne una.

La prima meraviglia del mondo antico è la più antica, la più celebrata, quella che ancora oggi a distanza di quattro millenni stupisce per la sua imponenza: la Piramide di Cheope, costruita per il faraone Cheope intorno al 2550 a.C. (ben 1797 anni prima della fondazione di Roma). Il principale problema in cui sono incorse queste grandi meraviglie (oltre ai crolli e ai danni climatici che ne prevaricarono la conservazione) è la ricchezza dei materiali che le componevano: al declino della civiltà che aveva costruito e ammirato il monumento, questi materiali venivano riutilizzati per la costruzione di nuove opere. Ciò avvenne anche per la Piramide di Cheope: noi oggi la vediamo bruna e grezza, ma in origine era ricoperta da un candido strato di pietra liscia che la rendeva lucida e luminosissima.

Piramide di Cheope

La seconda meraviglia è composta da una serie di giardini che non crescono sulla terra, né vi affondano le radici: i Giardini Pensili di Babilonia. Questi, stando alla descrizione di Filone di Bisanzio, erano sospesi ognuno su un piano sorretto da colonne, di forma simile alle antiche ziggurat gradonate. Era un’opera artificiale che si ricollegava all’antico pairidaeza persiano (da cui deriva il latino paradisus), costruita dal re di Babilonia Nebuchadrezzar per amore di una delle sue concubine, angosciata dalla nostalgia per le verdi montagne della sua infanzia. Un sogno malinconico il cui eco è giunto fino ai giorni nostri.

Raffigurazione dei Giardini pensili di Babilonia

Al terzo posto troviamo la colossale statua crisoelefantina di Fidia: lo Zeus di Olimpia. Alta tra i 12 e i 13 metri, l’opera fu realizzata direttamente all’interno del tempio. Era composta da una serie di placche di avorio e dorate e il tutto era arricchito dagli immancabili elementi policromi. Zeus appariva ai devoti visitatori seduto in trono quasi a torso nudo, con il manto che copriva la spalla sinistra, le ginocchia e le gambe fino ai piedi che poggiavano su uno sgabello sorretto da due leoni. Il manto colpiva per l’eccezionale decorazione con figure di animali e gigli in pasta vitrea colorata su fondo d’oro. L’intera statua era stata pensata dal genio di Fidia per dialogare con il contesto: gran parte del dio sfavillava di riflessi cangianti a seconda della luce, dei colori e delle ombre proiettate nel tempio dai raggi del sole.

Raffigurazione di Statua di Zeus a Olimpia

La quarta meraviglia è il Colosso di Rodi, forse la più affascinante e misteriosa tra le meraviglie antiche. Era un gigante di bronzo che rappresentava il dio Helios, patrono dell’isola, realizzata dallo scultore Carete di Lindo, discepolo del grande Lisippo. Il Colosso ebbe origine dalla fusione del bronzo di una gigantesca torre d’assedio, costruita e condotta a Rodi da Antigono Monoftalmo. Egli voleva costringere Rodi ad interrompere i suoi rapporti commerciali con l’Egitto, ma dopo mesi di infruttuoso assedio decise di ritirarsi, abbandonando le sue attrezzature. Con i materiali fusi, gli abitanti innalzarono l’immensa statua votiva al dio Sole, più grande di qualsiasi altra esistente al mondo, portatrice di un messaggio ben chiaro: nessuno poteva permettersi di dare ordini a Rodi. L’immensa statua deve la sua fama a diversi fattori, primo tra tutti la leggenda secondo cui Carete, una volta terminata l’opera, si sarebbe suicidato per essersi accorto di aver compiuto un irrimediabile errore che ne avrebbe determinato il crollo in seguito ad un terremoto nel 227 a.C., appena sessantasei anni dopo la sua erezione. Un aneddoto costruito ad arte o il triste epilogo di una vittoriosa vicenda?

Raffigurazione del Colosso di Rodi

La quinta meraviglia del mondo antico è una monumentale tomba: il Mausoleo di Alicarnasso. Sepolcro di Mausolo della dinastia Caria in Asia Minore, il cui nome già all’epoca era diventato sinonimo di “tomba monumentale”, quest’opera venne commissionata dalla vedova (nonché sorella) Artemisia alla morte del marito, nella prima metà del IV secolo a.C. Di questa meraviglia non ci sono giunti che resti, conservati ora al British Museum, ma ne conosciamo l’aspetto grazie ad una minuziosa descrizione ad opera di Plinio il Vecchio. Per un’altezza complessiva di circa 41 metri, il mausoleo presentava una gigantesca base gradonata (probabilmente di marmo) sulla cui sommità si ergeva un colonnato, a sua volta base di una piramide che si concludeva con una piattaforma su cui poggiava una quadriga coi due regnanti. Il colonnato e i muri esterni erano impreziositi da statue di grandi leoni a tutto tondo, di amazzoni e centauri. La cella funeraria era collocata alla base del mausoleo e fu completamente depredata dopo la distruzione dell’opera, avvenuta in seguito ad un terremoto nel XIII secolo. Il Mausoleo di Alicarnasso fu d’ispirazione per le tombe di tutti i più grandi personaggi nel corso della storia, convertendo il proprio nome nell’uso comune e giungendo miracolosamente quasi alle soglie dell’età moderna.

Ricostruzione del Mausoleo di Alicarnasso

L’Artemision di Efeso è la sesta meraviglia del mondo antico, un ricchissimo santuario fatto costruire da Creso, re di Lidia, nel VI secolo a.C. in onore della dea Artemide. L’Artemision ebbe due fasi: la prima in stile arcaico, sostituita da una seconda in stile ionico dopo che il primo tempio venne distrutto in un incendio appiccato nel 356 a.C. da un tale Herostratos, col solo scopo di diventare famoso. Secondo la tradizione il tempio bruciò la stessa notte in cui nacque Alessandro Magno, che si offrì anni dopo di finanziarne la ricostruzione. Anche in questo caso, Plinio fornisce una descrizione particolareggiata: si sofferma soprattutto sulla soluzione geniale di porre le fondamenta su un letto di carbone schiacciato e lana. Fino all’età moderna, questo è stato celebrato come il primo esempio di architettura antisismica. Il tempio tardo-classico presentava una base alta circa 3 metri, sulla quale era posto il colonnato (Plinio riporta l’esistenza di 127 colonne riccamente scolpite). Questa vera e propria foresta di pietra creava un effetto di movimento che mutava ad ogni passo, sia per il moto del sole sia per i riflessi della superficie del mare. Il tempio fu distrutto dall’invasione dei Goti nel 263 d.C. Da quel momento il grandioso santuario fu smantellato lentamente, mutilato e spaccato per nuove costruzioni fino a ridursi nelle macerie ancora oggi visibili.

Ricostruzione grafica dell’Artemision di Efeso

L’ultima meraviglia è quella che più ha colpito l’immaginario comune: il Faro di Alessandria. Questo sorgeva sull’omonima isola che si estende, oblunga e parallela alla costa, a chiudere la baia di Alessandria. La città, fondata da Alessandro Magno nel 331 a.C., era la più grande, prospera ed innovativa del Mediterraneo: aveva un centro di ricerca in cui i più brillanti cervelli avevano a disposizione la più grande biblioteca del mondo e i mezzi per realizzare le loro idee. Il Faro fu innalzato dall’architetto Sostrato di Cnidio e, dopo la Grande Piramide, era l’edificio più alto del mondo antico.

Ricostruzione del Faro di Alessandria

Alto circa 95 metri, era composto da tre parti di cui una cilindrica e ruotante come i fari moderni. Alla sua sommità si ipotizza la presenza di un meccanismo di specchi in grado di riflettere la luce di un fuoco perpetuo fino a 50 km di distanza. Questa immensa meraviglia passò indenne nel corso dei secoli, sopravvivendo anche ad un devastante maremoto nel 365 d.C. per crollare infine nel 1303 in seguito ad un grande terremoto percepito in tutto il Mediterraneo.

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